Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/321

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227.Piú non presumo: i miei desir desio
d’altrui signoreggiar non signoreggia.
Ambizion non nutre il petto mio
sí che per grado insuperbir ne deggia.
Finch’essali lo spirito, vogl’io
che solo il grembo tuo sia la mia reggia.
Se ’l regno di quel cor, che mi donasti,
conservato mi fia, tanto mi basti.

228.Altri con l’armi pur seguendo vada
schiere nemiche, e pace unqua non aggia.
A me l’arco e lo strai piú che la spada
giova, e mostri cacciar di piaggia in piaggia.
Piú che la reggia il bosco, e piú m’aggrada
che l’ombrella reai, l’ombra selvaggia.
Se vuoi servi e vassalli, ecco qui tante
suddite fere, e tributarie piante.

229.Per questa vita (e credimi) ti giuro,
nulla mi cal di porpore o tesori.
Sazio del poco mio, sprezzo e non curo
l’oro adorato, e gl’indorati onori.
Né vo’, sol che di te viva securo,
altre gemme piú fine, altr’ostri, altr’ori
di quegli ori, e quegli ostri, e que’ rubini
on^e ingemmi le labra, indori i crini.

230.È bello sí (non può negarsi invero)
de l’impero e del regno il nome e ’l pregio,
ma l’incarco del regno e de l’impero
l’onor ragguaglia imperiale e regio.
Tra catene gemmate è prigioniero
chi di scettro e diadema ha pompa e fregio:
giogo che dolce in vasta, aspro e protervo
rende il suo possessor publico servo.