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Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/332

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15.O vanitá mortai, gloria de’ folli,
che ti compiaci d’un sí fragil velo,
ond’è che tanto il cieco orgoglio estolli,
neve al Sol, piuma al vento, e fiore al gelo?
Tu d’insana superbia ebri e satolli
scacciasti i piú begli Angeli dal Cielo.
Per te nebbia de Calme oscura e ria
la créatura il creatore oblia.

16.Poveri specchi, s’intelletto aveste
voi, che di tanto mal ministri siete,
chi pria vi fabricò maledireste,
schivi omai di veder ciò che vedete.
Come il contagio, oimè, di quella peste,
di cui talor l’impression prendete,
del vostro bel candor macchiato e tetro
non corrompe la luce, e rompe il vetro?

17.Parlo a voi di voi stessi innamorati
o novelli Luciferi e Narcisi,
tanto dal proprio amore effeminati
che non pur de le donne atti e sorrisi
ma v’avete anco omai tutti usurpati
gli ornamenti degli abiti e de’ visi,
curando piú che trattar spade o lance,
nutrir le chiome, e coltivar le guance.

18.E parlo o Donne a voi, che tanta cura
ponete in stemprar gomme, in stillar acque
per cancellar la naturai figura,
ch’a l’eterno Pittor di formar piacque.
Vera beltá si lava in onda pura,
quella imagin ritien che seco nacque,
ogni liscio disprezza, e ’nculta e schietta
quanto s’adorna men, vie piú diletta.