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Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/333

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19.Ma ben di cotal opra assai sovente
come vostra è la fraude, è vostro il danno,
poi ch’alfin quel velen forte e nocente
rodendo la beltá, scopre l’inganno;
ond’alcun, che per voi ne l’alma sente
o forse sentiria pena ed affanno,
da tosco tal contaminate e guaste
non v’ha per belle, e non vi tien per caste.

20.Pensate forse voi quest’arti industri
tener (deh stolte) ad occhio accorto ascose?
Ben ciascun vede in quelle chiome illustri
qual sofístico il zolfo oro compose;
da qual giardino il volto ebbe i ligustri
e colse a prezzo le mentite rose;
e qual pennel d’adultero cinnabro
penò lung’ora a colorirvi il labro.

21.Tentan costor con artifíci infínti
di tesser velo a le bellezze vere,
perché l’arbitrio altrui, cosí dipinti,
sperano a lor favor meglio ottenere.
Con queste cure a la gran prova accinti
van lusingando le speranze altere,
e contan l’ore in aspettar di quella
sacra sollennitá l’Alba novella.

22.Ed ecco fuor de la stellata reggia
ne vien del Sol l’ambasciadrice e figlia,
e nel paterno specchio si vagheggia
tutta di minio Orientai vermiglia.
Giá de la Notte, mentre il di lampeggia,
fugge la pigra e pallida famiglia;
de la Notte, che vinta dagli albori
piagne, e del pianto suo ridono i fiori.