Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/334

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23.Sorge nel mezo a la reai cittate
Tempio, cui non eresse Efeso eguale.
Ha di tersi diaspri edificate
le vaste soglie, e le superbe scale.
Lastre di smalto e tegole dorate
vestono il tetto di ricchezza tale,
che vibra lampi e folgora splendori
de la luce del Sole imitatori.

24.V’ha due porte maestre; a l’altrui piede
l’una l’entrata, e l’altra apre l’uscita.
L’una di lucid’or, l’altra si vede
di ruginoso e vii ferro scolpita.
Quella la strada al peregrin concede
di rosa e rosmarin tutta fiorita.
Questa lappole e dumi intorno aduna
e di spine, d’ortiche il varco impruna.

25.Le vetriate di cristallo alpino
mostrano colorite ai rai celesti
d’indico azurro e di vermiglio fino
de’ Mártiri d’Amor le vite e i gesti.
Di Cimitero in vece, havvi un Giardino
non di cipressi tragici e funesti,
ma di bei mirti, in cui canta Thalia,
né v’entra mai la flebile Elegia.

26.Le squille, il cui romor quivi rimbomba,
son cetre ed arpe e cennamelle e lire,
con suon possente a trarre altrui di tomba,
e si dolce e piacevole ad udire,
ch’a qual Guerrier piú franco odiar la tromba
farebbe, e depor l’armi, e cader l’ire,
e lasciando di Marte i piacer scarsi,
del Delubro d’Amor ministro farsi.