Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/363

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139.Pretende questi che da’ sommi giri
per quanto scorre e quanto scorge intorno
dall’Ariete a’ Pesci altra non miri
somigliante beltá l’occhio del giorno.
E perché pien di tumidi desiri
per tante doti, ond’è piú ch’altri adorno,
l’orgoglio agguaglia a la sembianza bella,
il Narciso di Siria ognun l’appella.

140.Di piú color’ che l’Iride non mostra
gli occhi ha dipinti, e tutto nero il ciglio.
La guancia, com’al Sol pomo s’inostra,
dolcemente gl’incarna un bel vermiglio,
onde di leggiadria litiga e giostra
con la rosa purpurea il bianco giglio;
e sovra lor con lascivetta sferza
in cento brilli il biondo crin gli scherza.

141.Filato d’oro sí lucente e bello
del bel mento la cima un fiocco impela,
e del labro sovran, simile a quello
un riccamo sí fin l’ostro gli vela,
che par proprio di Coleo il ricco vello,
né tale il Pago entro i suoi fondi il cela.
Per guardia forse di sue vive rose
queste produsse Amor siepi spinose.

142.Intero un zibellin di color fosco
e cuffia in capo e morion gli scusa,
di cui piú fin giá mai Tartaro o Mosco
per le sue balze di tracciar non usa.
Di Paradisi per pennacchio un bosco
gemma v’affige in òr legata e chiusa,
rara fra quante al Sol la terra n’apra,
gemma che rassomiglia occhio di Capra.