Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/381

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211.L’avea con acque magiche e con versi
vólto la Fata in un donzel sí vago,
ch’a pena sotto il Sol potea vedersi
la piú leggiadra e signorile imago;
e seco in paggi altr’uomini conversi
parimente in virtú del licor mago,
pur de la stirpe sua gente minuta,
orribile, difforme, e disparuta.

212.Ch’arditamente ad Amathunta il piede
senza indugio volgesse (ella gli disse)
perché di Cipro ad acquistar la sede
cosa non troveria che l’impedisse,
e la palma, il trionfo, e la mercede
verrebbe a riportar de l’altrui risse:
ch’unita la beltá del mondo tutta
fora a lato a la sua per parer brutta.

213.Or qua venia, da lei sospinto, e tratto
da’ suoi propri desir leggieri e sciocchi.
Tre volte intorno intorno il contrafatto
torse caninamente il ceffo e gli occhi.
Di reverenza o di saluto in atto
non chinò fronte, e non piegò ginocchi,
ma per mezo lo stuol quivi raccolto
portò superbo il portamento e ’l volto.

214.Passa a l’altare, or ch’è coverto il Cucco
sott’altre penne, orgogliosetto in vista.
Veste di pelle d’indico Stembucco
colletto che di perle ha doppia lista,
di prezioso ed odorato succo
di muschio e d’ambracan temprata e mista.
Damaschina ha la storta al lato manco,
e dorato il pugnai da l’altro fianco.