Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/382

Da Wikisource.


215.Vermiglio palandran vergato d’oro
gli cade al tergo, e ’l fregio è d’aurea trina,
e d’un tabi di simile lavoro
fatta è la calza, e frastagliata a spina.
Un cappelletto di sottil Castoro
porta, che pur la piuma ha purpurina;
e guernito le man d’Arabi guanti,
vien ninfeggiando, amoreggiando avanti.

216.Questa vana magia durò sol tanto
ch’ei piú da presso a la gran Dea comparve.
Ma giunto innanzi al simulacro santo,
si dileguár le mentitrici larve,
s’aprí la nube, si disfe’ l’incanto,
e la finta beltá ratto disparve:
ond’ancor negli astanti a l’improviso
si trasformò la meraviglia in riso.

217.Qual uom, che sotto maschera nascosto
inganna altrui con abito mendace,
altro che prima appar, poi c’ha deposto
de la non sua sembianza il vel fallace;
tal quel brutto omicciuol rimase tosto
che ne la sua tornò forma verace;
e Saliceo, che ’n stima era tra’ Vegli
del piú grave Censor, ne rise anch’egli.

218.Di quel collegio reverito e sagro
è questo Saliceo tra’ principali,
maninconico in vista, asciutto e magro,
ma sempre in bocca ha le facezie e i sali,
e punge con parlar mordace ed agro,
ma sono i motti suoi melati strali,
onde trafíge e gratamente uccide,
e fa rider altrui, se ben non ride.