Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/404

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15.Breve l’indugio fia, breve il soggiorno,
ché sai ben tu, ch’io senza te non vivo:
né piú in lá differir voglio il ritorno,
se non quanto si chiuda il dí festivo.
Tu, che movi cacciando i passi intorno
de la solita scorta intanto privo,
deh non andar dove l’audacia figlia
de la follia ti guida, e ti consiglia. —

16.Adon par ch’a quel dir gemendo voglia
a favilla a favilla il cor disciòrre.
Risponder vuol, ma l’importuna doglia
non lascia a la ragion note comporre;
e s’alfin pur la lingua avien che scioglia,
il duolo è che per lui parla e discorre.
Forma rotti sospiri, accenti mozzi,
e sommerge la voce entro i singhiozzi.

17.— Dunque — dicea — dunqu’è pur ver, che vuoi
peregrina da me torcere i passi?
Di’ dimmi, e come abbandonar mi puoi
romito abitator d’antri e di sassi?
Perché privarmi (oh Dio) degli occhi tuoi?
Oh Dio, perché ten vai? perché mi lassi?
E mi lassi soletto, se non quanto
mi faran compagnia la doglia, e ’l pianto.

18.Cara la vita mia, deh dimmi, è vero?
(non piú scherzar) qual fato or ne disgiunge?
Ch’io né da scherzo ancor pur col pensiero
posso o voglio da te vedermi lunge.
Che farai? che rispondi? io temo, io spero.
Ah che pietá di me non ti compunge!
Vedi vólti quest’occhi in fonti amari,
che pur giurar solevi esserti cari.