Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/460

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39.Ella d’Adon la signoria m’ha tolta,
che pronto era a seguir gli studi miei,
ma con lunghi sermon piú d’una volta
da quel camin lo distornò costei.
Or per punir questa insolenza stolta,
io vo’ nocendo a lui nocere a lei,
che quantunque immortai, l’ama si forte,
che so ch’ella morrá ne la sua morte.

40.Toccar quel suo malnato osò le crude
armi pericolose, armi interdette,
quelle, ov’ancora il mio furor si chiude,
dico di Meleagro arco e saette.
Queste (il giur’io per l’infernal palude)
da se stesse faran nostre vendette,
perché son tali che giá mai non sanno
portar a chi le porta altro che danno.

41.Oltre di ciò, quando a cacciar dimane
riede, secondo l’uso, il folle Arciero,
d’irritar contro lui fuor de le tane
un mio Cinghiai talmente io fo pensiero,
che d’Attheone alcun rabbioso Cane
nel suo Signor non si mostrò si fiero,
né fu mai fiero e formidabil tanto
l’altro, al cui nome ancor trema Erimanto.

42.Cosí di Thracia al Paladin tremendo
favellò Cinthia, ond’ei l’armi depose,
e piú distinto poi l’ordin tessendo
de le disposte e concertate cose,
seco insieme in aguato ivi attendendo
fin che venisse il bel Garzon, s’ascose,
per dar effetto a la crudel congiura
tra i vietati confin di quelle mura.