Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/501

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203.Se fia Saturno del suo duol cagione,
vecchio maligno e neghittoso e tardo,
l’udrai nitrir fra i regii armenti, e sprone
al fianco gli sará quest’aureo dardo.
Se di Cillene il volator ladrone
vela d’amara nebbia il dolce sguardo,
ecco in Atene or or tei do ferito,
né l’arte gli varrá de la sua Pitho.

204.Se da Pallade nasce il suo cordoglio,
fia con Vulcan ricopulata insieme,
e la lutta quassú rinovar voglio
onde giá cadde il mostruoso seme.
Né de lo Dio ferrato il vano orgoglio,
la fierezza o l’orror per me si teme,
ché ben che cinto di diaspro e marmo,
sa ben, ch’a senno mio spesso il disarmo.

205.S’Apollo a parte fia di tanto danno,
vo’ flagellarlo in duri nodi avinto,
e suoi flagelli e sferze sue saranno
le foglie de l’Alloro e del Giacinto.
Ad arder sforzerò con pari affanno
nel freddo cerchio suo la Dea di Cinto.
Struggerá il cor (se ’l mio furor si desta)
Climene a quello, Endimione a questa.

206.S’è ver che ’l suo piacer turbi e ’l suo gioco
colui che di duo ventri al mondo nacque,
lá dove ogni valor gli varrá poco,
a novi ardori il condurrò per Tacque.
Vedrá che cede al mio l’istesso foco
onde la madre fulminata giacque;
e s’egli col suo vino agita altrui,
io posso col mio strale agitar lui.