Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/511

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243.Oro malnato, del tuo pessim’uso
previde i danni il Cielo, e se ne dolse,
e quasi in stretto carcere, laggiuso
nel cor de’ monti sepelir ti vòlse.
Chi fu, che la prigione ov’eri chiuso,
omicida crudel, ruppe e disciolse?
Del ferro istesso piú crudele e rio:
se non che ’l ferro fu, che ti scoprio!

244.E pur il Sol poi che ti vide fòre,
poi che fur le tue forze al mondo note,
si compiacque di te, del tuo splendore,
e del bel carro n’indorò le rote.
Per te possanza al suo gran regno Amore
accrebbe, e ’n tua virtute il tutto potè.
Tu fabricasti i piú pungenti strali,
né fa mai senza te piaghe mortali.

245.Qual cor non domi? o qual valor sí forte
fia che senza cader teco contrasti?
Qual sí ritrosa Vergine le porte
non t’apre de’ pensier pudici e casti?
O pestifero tosco, o morbo, o morte,
ch’i piú puri desir corrompi e guasti!
Ben è ragion, se ne’ piú cupi fondi
quasi per tema pallido t’ascondi!

240.Ma qual potea del mio piú grave fallo
altri per tua cagion commetter mai?
Fu piú del fragilissimo cristallo
la mia perfida fé fragile assai.
Per cupidigia d’un sí vii metallo
innocente beltá tradire osai.
Forsennato dispetto, impeto stolto,
ch’a la Diva de’ cori il core ha tolto.