Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/512

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247.Fere, barbare Fere, ingordi mostri,
uscite orride Tigri, Orsi nocenti,
uscite a divorar da’ cavi chiostri
col mio corpo in un punto i miei tormenti!
Ben saranno (cred’io) gli artigli vostri
del tarlo c’ho nel cor meno pungenti.
Fere di questa Fera assai piú pie,
se sepolcro darete a Tossa mie!

248.Ma se le Fere pur crude e proterve
per maggior crudeltá trovo men ree,
questa man, questo strai che fa? che serve,
che ’l sen non m’apre, e ’l sangue mio non bee?
Or che ’n me piú l’insania ebra non ferve,
la ragion sue ragioni usar ben dee,
e vendicar con piaga memoranda
di tanta fellonia l’opra nefanda.

249.Volgi a me gli occhi, e mira i pianti miei,
o di prigion sí bella anima uscita,
alma, che sciolta per mia colpa sei
dal bel nodo, ond’Amor ti strinse in vita.
Deh perché non poss’io, come vorrei,
seguitarti volando, ove se’ gita?
SI si potrò, ché di quest’aureo strale
le penne per volar mi daran Tale.

250.Questo mio fido strai, che tanto asperso
per le selve ha fin qui sangue ferino,
fia che nel sangue mio tinto ed immerso
a sí gran volo or or m’apra il camino. —
Sí disse, e nel bel sen lo strai converso
sodisfece al tenor del fier destino,
onde di tepid’ostro un largo rio
tosto a macchiar le vive nevi uscio.