Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/519

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3.E se ben chi per noi vòlse patire
le tolse l’ago, e l’ha lasciato il mèle,
onde sonno s’appella, e non morire
quando in pace riposa un cor fedele,
pur senza inconsolabile martire
far non si può, né senza aspre querele.
Quindi l’istessa ancor prole di Dio
sovra l’amico suo pianse e languio.

4.Veder che poca polve e sospir breve
tanti lumi e tesori ingombri e prema
grava altrui sí, che ben stimar si deve
de le cose terribili l’estrema.
Chi ha, che come al Sol tenera neve
non si stempri mirando, e che non gema,
fatto d’alti pensier nido si bello
seminario di vermi entro un avello?

5.E che fia poi, se ’n su ’l vigor degli anni
mentre de’ lieti dí l’April verdeggia,
giovane pianta, e per piú gravi danni
bella ancora e gentil, svelta si veggia?
Ma gli acerbi cordogli e i duri affanni
ahi qual angoscia, ahi qual dolor pareggia
di chi sterpato a la stagion piú verde
de le gioie sperate il frutto perde?

6.Quando per morte incenerito e spento
alma ch’avampa il suo bel foco vede,
e reciso quel nodo in un momento
che giá strinser sí dolce Amore e Fede,
non s’agguagli tormento a quel tormento,
quest’è il dolor ch’ogni dolore eccede:
materia amara da sospiri e pianti
non ch’ai mortali, agl’immortali amanti.

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