Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/525

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27.Chi vuol l’oro ritrar de’ crespi crini,
da le Grazie filato e dagli Amori,
chi de le molli guance i duo giardini,
dove nel maggior verno han vita i fiori,
chi de le dolci labra, i cui rubini
chiudon cerchi di perle, i bei tesori,
chi degli occhi ridenti il chiaro lume,
spiegar l’inesplicabile presume.

28.Giacinto insomma è tal (cosí s’appella)
che di grazia e vaghezza ogni altro avanza,
se non quanto gli fa l’etá novella
superbo alquanto il gesto e la sembianza,
e l’andar d’arco armato e di quadrella
a l’orgoglio del cor cresce baldanza,
ond’è terror de’ mostri e de le belve,
e piacer de le ninfe e de le selve.

29.L’alta bellezza del Garzone altero
súbito a pena vista, il cor mi tolse;
mercé del figlio tuo, ch’iniquo e fiero
sempre (non so perché) meco la vòlse,
e per mostrarsi piú perfetto Arciero
tanto alfin m’appostò, che pur mi còlse.
Ma ben che d’altri strali ei mi ferisse,
questo fu il piú crudel, che mi trafisse.

30.Per quest’amor, ch’odiar mi fe’ me stesso,
e per cui non avrò mai l’occhio asciutto,
io mi scordai del Lauro e del Cipresso,
piante per me funebri e senza frutto.
Leucothoe, che languir mi fe’ sí spesso,
di mente per costui m’uscí del tutto.
Clizia, da cui giá tanto amato fui,
a me volgeasi, ed io volgeami a lui.