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31.Per meglio vagheggiar quegli occhi cari,
che m’abbagliaro e m’ingombrár di gelo,
sprezzai di Delfo gli odorati altari,
né piú curai le vittime di Deio;
e ’l fren de’ miei destrier fulgidi e chiari
lasciando l’Ore a governare in Cielo,
rapito a forza da’ desiri accesi,
corsi a l’ésca del bello, e ’n terra scesi.
32.E come giá per pascolar gli armenti
venni d’Anfriso ad abitar le sponde,
e ’l biondo crin, che di fiammelle ardenti
era cinto lassú, cinsi di fronde;
cosí per far quest’occhi almen contenti
vòlsi d’Eurota ancor frequentar Tonde,
e quanto foco la mia sfera serra
portai tutto nel cor, scendendo in terra.
33.Un Sole (o chi mel crede?) un altro Sole,
ch’avea duo Soli in fronte, io trovai quivi,
e vie piú che ’l mio lume in Ciel non suole,
raggi vibrava sfavillanti e vivi.
Insieme ne schermian le valli sole
dagli ardori amorosi e dagli estivi,
e ne vider sovente in bei soggiorni
dissipar Tore, e lacerare i giorni.
34.Piú d’una volta al Giovane fu dato
ad un de’ Cigni miei montar su ’l dorso.
Piú d’una volta del Cavallo alato
premer il tergo, e moderare il morso:
e non sol di Laconia, ov’era nato,
l’ampie contrade visitar nel corso,
ma talora arrivar lieve e sublime
del bel Parnaso a le spedite cime.