Vai al contenuto

Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/527

Da Wikisource.


35.Io solea spesse volte andarne seco
del verde monte in fra i piú chiusi allori,
e quivi a l’ombra del mio sacro speco,
tra le dotte fontane in grembo ai fiori,
gran trastullo ei prendea di cantar meco
del nostro Giove i fanciulleschi amori,
ed io postogli in mano il mio stromento,
gl’insegnava a formar dolce concento.

36.Talora a tender l’arco ed a scoccarlo,
ben ch’assai ne sapesse il Giovinetto,
10 m’ingegnava meglio ammaestrarlo
contro le fere in qualche mio boschetto.
Ma fra tutti i piacer di cui ti parlo,
11 piú continuo e principal diletto
(ahi che solo in parlarne impallidisco)
era il giocar con la racchetta e ’l disco.

37.Xe la stagion che la Cagnuola insana
fa di rabbioso incendio arder l’estade,
quando l’agricoltor con la villana
stassi ne l’aia a spigolar le biade;
ne l’ora che quaggiú da la sovrana
parte del Cielo a filo il raggio cade,
e l’ombra che da l’indice discende
dritto a la sesta linea il tratto stende:

38.n’andammo un dí, fin che ’l mio carro il segno
gisse a toccar de le diurne mete,
nel trincotto fatai giocando un pegno
altre cacce a pigliar con altra rete:
con quella rete ch’entro il curvo legno
tesse in spessi cancelli attorte sete,
e da le tese e ben tirate fila
fa percossa lontan balzar la pila.