Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/528

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39.Trattiensi in prima a palleggiare un poco,
indi meco s’accorda a la partita,
e mutando lo scherzo in vero gioco,
proposto il premio, a la tenzon m’invita.
Incominciava ad avampar di foco
la guancia intanto accesa e colorita,
e le sue vive e fervide faville
a seminar di rugiadose stille.

40.Onde deposto un suo leggier farsetto
di molle seta, e tinta in ostro fino,
indosso si lasciò semplice e schietto
sol de l’ultima spoglia il bianco lino,
e mi scoprí del dilicato petto
il polito candore alabastrino:
ma del mio core assai piú forte e greve
cresrea la fiamma in riseuardar la neve.

O

41.I>e botte del suo braccio erano tali
che quant’ei n’aventava o scarse o piene
tant’erano al mio cor piaghe mortali,
tante a l’anima mia dure catene.
E ben da tender lacci e scoccar strali,
per legar e ferir con doppie pene,
ne le luci tenea serene e liete
vie piú che ne la man, l’arco e la rete.

42.La rete, che di corde ha la treccierá,
batte la pelle che di vento è pregna,
e con la gamba e con la man leggiera
di seguirla e raccorla ognun s’ingegna.
Qual destra è de le due piú destra arciera
vince, e ’l numero conta, e ’l loco segna.
S’avien che non l’investa, o che la faccia
ne la fune incontrar, perde la caccia.