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59.Giuro per la beltá che sí mi piacque,
e che portò d’ogni altra in terra il vanto,
che quando il mio Fetonte ucciso giacque
non mi dolsi cosí, né piansi tanto.
E ben giusta cagione allor mi nacque
di sentir maggior duol, far maggior pianto,
ch’assai piú forte e piú mortale ardore
di quel ch’accese il mondo, arse il mio core.
60.Pindo sei sa, s’io piú cantai né risi,
sasselo il coro mio pudico e saggio.
Se ben su ’l carro d’or poscia m’assisi,
rotai gelato e ruginoso il raggio;
e passando di lá, dove l’uccisi,
nel mio sublime e sferico viaggio,
sempre cinto di nubi atre e maligne
sovra i campi versai piogge sanguigne.
61.Vòlsi per gloria sua, per mio conforto
lasciarne in terra una memoria bella.
Cangiai del gioco lo steccato in orto,
in aragna mutai la reticella,
e feci un nobil fior dal corpo morto
pullular in virtú de la mia stella,
che con note di sangue ha su le foglie
scritte le sue sventure, e le mie doglie.
62.Produssi ancor su le vocine rive
gemma di qualitá simile al fiore,
in cui pur di Giacinto il nome vive,
e di porpora e d’or serba il colore,
e la forza del fulmine prescrive,
e la peste discaccia e ’l mal del core.
Ride ne’ dí ridenti, e per costume,
quand’io mi turbo in Ciel, turba il suo lume. —