Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/534

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63.Qui conchiuse il parlar lo Dio lucente,
quando colui ch’a premer l’uve insegna
— Questa — ricominciò — che veramente
merita gran pietá sciagura indegna
risovenir mi fa d’un accidente
peggior d’ogni altro che nel mondo avegna,
lo qual fin che su i poli il Ciel si giri,
sempre m’apporterá pianti e sospiri.

64.E si come nel caso acerbo e reo
non fur men gravi le ruine e i danni,
cosí non men d’Apollo ha Bassareo
dura cagion di dolorosi affanni;
perché ne l’infortunio onde cadeo,
misero, in su l’April de’ piú verd’anni,
si come anco in beltá non ne fu vinto,
cosí non cede Pampino a Giacinto.

65.Pampino (o bella Dea) che sovra l’erme
rive giá nacque del mio bel Pattolo,
fu de la stirpe degli Amori un germe,
fior di vera bellezza in terra solo.
Se non andasse ignudo, e fusse inerme,
poria rassomigliarlo il tuo figliuolo.
S’egli non avea gli occhi, ed avea l’ale,
potea parer Amor, nato mortale.

66.La bella fronte gli adornò Natura
di gentil maestá, d’aria celeste.
Dolce color di fragola matura
gli facea rosseggiar le guance oneste.
Ne la bocca ridea la grana pura
tra schiette perle in doppio fil conteste;
né quivi avea la rosa purpurina
prodotta ancor la sua dorata spina.