Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/561

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171.Lasso, piú non sperar gli alti splendori
riveder mai de la tua fiamma antica,
né piante verdeggiar, né rider fiori
in valle ombrosa, o in collinetta aprica.
Fatta (tua colpa) de’ suoi chiari onori
vedova questa fronte oggi e mendica,
spento del volto mio l’unico raggio,
come farò, se luce altra non haggio?

172.Indarno indarno o Sol per me rinasci,
poi che m’ingombra sempiterna sera.
Trionfa pur, che negra benda or fasci
del lume mio l’inecclissata sfera.
Lieto omai Giove ogni sospetto lasci,
ché piú non osa il cor, la man non spera,
non spera piú con immortai trofeo
l’opra fornir, che ’ncominciò Tifeo.

173.Alcun piú qui de le conteste travi
da lunge il corso o de’ nocchier non spia.
Corran secure pur, corran le navi
per la piana del mar liquida via.
Vengan di merci preziose gravi,
radano a lor piacer la riva mia,
e spiegato per Tonde il volo audace,
senza spavento alcun passino in pace.

174.Or per trastullo lor, si com’io fossi
fera che giace incatenata e dorme,
de le grand’unghie mie, de’ miei grand’ossi,
de l’ampio ciglio e de la bocca informe,
de’ membri tutti smisurati e grossi,
de’ Satiri e Pastor seguendo l’orme,
verran le Ninfe intrepide e secure
a tòr con lunghe canne alte misure.