Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/563

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179.Onde s’allora un picciol cenno, un atto
scorto avess’io del suo villan talento,
pensar si può, se strazio egual mai fatto
fu da Lupo affamato in fra l’armento!
O che questo baston sparse in un tratto
Tossa n’avrebbe e le minugia al vento,
o ch’avrei forse a Tuorn malvagio e rio
fatto vivo sepolcro il ventre mio.

180.Nulla curo però quanti soffrire
possa per tal cagione oltraggi e torti,
nulla fra dolorose ombre languire
in un stato peggior di mille morti.
Quel ch’ogni pena eccede, ogni martire,
dove speme non è che mi conforti,
egli è solo il pensar che mi sia tolta
la bella, che dal mar forse m’ascolta.

181.M’ascolta forse, e piú che mai mi sprezza,
e giá vederla ad or ad or m’aviso,
ch’addita con insolita allegrezza
a le compagne il mio squarciato viso.
Strana miseria mia, da la bellezza,
per cui piango e languisco, esser deriso.
Bellezza (oimè) ch’a desperar m’induce,
e priva è di pietá, com’io di luce.

182.Or goda e rida pur, ch’a me s’asconda
per l’altrui fraude eternamente il giorno,
e che del lido favola e de Tonda
fatto io mi sia per queste spiagge intorno.
De l’una e l’altra mia piaga profonda
poco il danno cur’io, poco lo scorno,
pur che ’n riso sei prenda e n’abbia gioco
la soave cagion del mio bel foco».

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