Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/575

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227.Ma ben cieco m’ha fatto, e stolto insieme
il dolor, che travolge i miei desiri.
Di morir bramo, e non sperando ho speme
di finir con la morte i gran martiri.
Mi rifiuta Pluton, forse che teme
il troppo fiero ardor de’ miei sospiri,
perche sa ben, ch’appo ’l mio incendio grave
è la fiamma infernal fresca e soave.

228.Pietoso (oimè) sol per mio mal diviene
il crudo Re de’ regni oscuri e bassi,
né vuol che quinci a le Tartaree arene
con la grand’ombra mia morendo io passi,
ché se dannato a quell’eterne pene
il pallido Acheronte oggi varcassi,
avrian veggendo in me maggior tormenti
qualche conforto le perdute genti.

229.Teme non forse il tenebroso Inferno
queste tenebre mie rendan piú fosco.
Teme non forse al mio furore eterno
raddoppi il Can la rabbia, e l’Hidra il tosco.
Teme non cresca al mio gran pianto Averno
e de’ mirti amorosi inondi il bosco.
Teme non beva in Lethe un dolce oblio
sí ch’io piú non rimembri il dolor mio».

230.Cosí diss’egli, e diè sí gran muggiti,
e tanti mandò fuor torbidi fumi,
che lasciò per gran pezza impalliditi
i chiari aspetti de’ celesti lumi.
Cadde il remo a Caronte, e sbigottiti
fuggirò i mostri ai piú profondi fiumi.
Stupir le Furie, e del sovran Tonante
ebbe novo timor l’arso Gigante.