Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/580

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247.Qual invidia al bel furto (oimè) vi spinse,
Naiadi quanto belle, inique e rie?
Ditemi chi d’Amor la luce estinse?
chi svelse il fior de le speranze mie?
Deh se mai di pietá forza vi strinse,
ite, cercate altrove onde piú pie.
Di qua fuggite, ove morendo giacque
l’ésca de le mie fiamme in seno a Tacque.

248.Lasciate questi, ov’albergar solete,
del crudo padre mio fondi omicidi,
né piú di que’ cristalli empi bevete,
ch’a si rara beltá fur tanto infidi.
Abbracciatemi intanto, e raccogliete
le tronche chiome mie tra’ vostri lidi;
e pria ch’io caggia a l’avid’acque in preda,
l’ultima grazia almen mi si conceda.

249.Sia sepolcro immortai l’urna paterna
a l’una e l’altra spoglia insieme unita,
dove a neri caratteri si scerna
questa memoria in ogni etá scolpita.
Arser del pari in una fiamma eterna
Calamo e Carpo, e vissero una vita.
Ebbero alfin, né spense l’acqua il foco,
una morte commun, commune un loco».

250.Cosí dice, e per gli occhi intanto versa
fiume ch’ai fiume umor novello aggiunge,
poi tace, e con la fronte in giú conversa
traboccando dal margo, al fondo giunge.
Riman la coppia misera sommersa,
felice in ciò, che pur si ricongiunge,
e ’nsieme ottien ne l’ultimo sospiro
morte d’argento, e tomba di zaffiro.