Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/583

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259.Cosí languisce, e sette volte il Sole
ne’ lidi Iberi ha giá tuffato il raggio,
e circondando la terrena mole
altrettante è tornato al gran viaggio,
da che piangendo il giovane si dole
contro il Ciel, contro il mar del grave oltraggio,
che vede in nebbia, e ’n pioggia, e ’n fiamma, e ’n gelo
turbato il mare, e nubiloso il Cielo.

260.Preme la sponda, e ’n su lo scoglio ascende
che la Vergin sommersa ancora infama,
la crudeltá del pelago riprende,
le stelle inique, iniqui i venti chiama,
ed accusa Nettun che gli contende
la vista di colei che cotant’ama;
né potendo appagar gli occhi e i desiri,
co’ pensier la corteggia, e co’ sospiri.

261.Tutto soletto in su la ripa assiso
vagheggia di lontan gli amati lidi,
e rivolgendo a l’alta torre il viso,
co’ muggiti del mar confonde i gridi.
«Perché color» dicea «che non diviso
congiunge Amor, Fortuna empia dividi?
Perché non lasci in sí leali amori
i corpi unir, come s’uniro i cori?

262.Ben raccoglier devria sol una terra
due alme che son anco una sol alma.
Finir devria la procellosa guerra,
e i travagli del mar compor la calma.
Chi mi vieta il passaggio? e chi mi serra
in parte onde nocchier legno non spalma?
Qual invidia del Ciel per intervallo
un muro tra noi posto ha di cristallo?

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