Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/621

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411.Qui tace, e chiede del suo core il core,
e gli è recato al primo cenno avante.
Ell’avea giá, quando il Sabeo licore
le viscere condí del caro amante,
sterpato e svèlto in fin dal centro fòre
del bel fianco sparato il cor tremante;
indi il serbò tra preziose tempre
di celesti profumi intatto sempre.

412.Tolto in mano quel cor, gli occhi v’affisse,
e contemplollo con pietoso affetto,
ed: — O del piú bel foco — indi gli disse —
e del piú puro ardor nobil ricetto,
che d’aver riscaldato unqua s’udisse
in Cielo o in terra innamorato petto,
cosí fuor di quel sen, ch’era tuo seggio,
lacerato ed aperto (oimè) ti veggio?

413.Forse mostrar mi vuoi che non contento
de l’amor, che vivendo in te bolliva,
dopo ’l cener gelato e ’l rogo spento
serbi ancor la tua fiamma accesa e viva.
Ahi ben il veggio, anzi in me stessa il sento,
che ben che del mio ben vedova e priva,
ancor estinto de’ begli occhi il lampo,
in pari incendio immortalmente avampo.

414.Or con qual degno onor, fuor che di baci,
sodisfar posso ad oblighi sí cari?
Ond’avrò per lavarti acque vivaci,
secca la vena de’ miei pianti amari?
Chi mi dará le luminose faci,
spenta la luce di que’ lumi chiari?
Fuor del bel volto, ove saranno i fiori?
Senza i fiati soavi, ove gli odori?