Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/620

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407.Poscia che ’l nobil marmo in cotal guisa
ha giá d’Adon le ceneri coverte,
la mesta Dea lá ’v’è la pietra incisa
del deposito caro, il piè converte;
e stata alquanto immobilmente fisa
con gli occhi in alto, e con le braccia aperte,
trangosciando piú volte, alfin si scote,
e rompe il suo tacer con queste note:

408.— Dolci, mentr’al Ciel piacque, amate spoglie,
giá dolci un tempo, or quant’amate amare,
poi che negano Tacque a tante doglie
fatte le luci mie di pianto avare,
prendete questi fiori, e queste foglie,
ultimi doni a le reliquie care,
e ’n vece de le lagrime dolenti
gradite questi baci, e questi accenti.

409.S’invido fato, avaro Ciel mi toglie
distemprar gli occhi in lagrimoso mare,
di questa tomba le funeste soglie
non mi torrá con gemiti baciare.
Se colei ch’ogni fior recide e coglie
reciso ha il fior de le bellezze rare,
10 spirto almen, ch’ascolta i miei lamenti,
gradisca questi baci, c questi accenti.

410.L’urna gentil, che le bell’ossa accoglie,
sará de’ voti miei perpetuo altare,
l’alte faville de l’accese voglie,
lá dove il cor sacrificato appare,
11 foco de’ sospir, che l’alma scioglie,
saran fiaccole e fiamme ardenti e chiare.
Ombra felice, se mi scorgi e senti,
gradisci questi baci, e questi accenti. —