Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/619

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403.Serrato il vaso, in cui chiudeasi quanto
Natura e ’l Ciel di bello unqua crearo,
Amor, che stava in flebil atto a canto,
quasi custode, al cimiterio caro,
cercava pur d’intenerir col pianto
l’aspro rigor di quel sepolcro avaro,
e con la punta del dorato strale
vi scolpí sovra un epitafio tale:

404.' O peregrin che passi, arresta il passo
al marmo, se non hai di marmo il core.
Giace sepolto Adone in questo sasso,
e giace seco incenerito Amore.
Nel cener freddo, e nel sepolcro basso
spento il lume è però, non giá l’ardore.
E che sia ver, tocca la pietra un poco,
che senz’altro focil n’uscirá foco ”.

405.Vi fu sospeso in un gran fascio involto
l’arco insieme con l’asta e con l’altr’armi,
e ’l dente de la Fera anco raccolto
restò trofeo di que’ medesmi marmi.
Fu poi con simil cura il Can sepolto,
e Febo aggiunse agli altri onori i carmi,
che su l’avel de l’animal trafitto
la memoria lasciò di questo scritto:

406.“ Qui sta Saetta, il Can, la cui bravura
le Fere spaventò non solo in terra,
ma quasi a quelle ancor pose paura
che ’l Zodiaco nel Ciel raccoglie e serra.
Pluton per far la sua magion secura,
in guardia de l’Inferno il tien sotterra,
che poi eh’ Hercol discese in quella Corte,
fidar non vuole a Cerbero le porte ’’.