Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/683

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215.La giovane tra lor giá litigata
restò pur finalmente in suo potere
e l’altro, che pur dianzi avea stracciata
la traversa vermiglia in su ’l cadere,
un’altra n’ebbe, intorno intorno orlata
di merletti di perle a tre filiere,
ed avea di grottesche e di fogliami
(lavor di nobil ago) ampi riccami.

216.— Piú che propria virtú, destin secondo
diè questa palma — ei disse — al mio rivale.
Colei che n’erge in alto e spinge al fondo
dona spesso gli onori a chi men vale. —
E l’altro allor: — Piú dee pregiarsi al mondo
favor divin d’ogni valor mortale.
Se le stelle mi fér sí fortunato,
dunque il Ciel m’ama, e ne ringrazio il fato. —

217.Vener qui s’interpose, e sciolse il nodo
con un dolce sorriso a la favella:
— Vincasi pure in qualsivoglia modo,
ché la vittoria alfin fu sempre bella. —
Tronco il filo a la lite, e fisso il chiodo
al decreto immortai la Dea piú bella,
fe’ dopo questi i duo primier campioni
contenti anco restar con altri doni.

218.Ponsi poscia a mirar Marzio e Guerrino,
l’un de’ quali è Guascon, l’altro Normanno,
l’un e l’altro iracondo e repentino,
che tolerar, che destreggiar non sanno.
Esce pria l’Aquitano, indi vicino
fattosi a l’altro, ove le smarre stanno,
perché vinto d’orgoglio esser non soffre,
de’ duo stili d’acciar la scelta gli offre.