Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/726

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387.Quei dal tergo, onde pende, in mano il toglie,
pon su l’orlo le labra, e mentre il tocca,
nel petto pria quant’ha di spirto accoglie,
quinci il manda a le fauci, indi a la bocca.
Gonfia e sgonfia le gote, aduna e scioglie
l’aure del fiato, e ’l suon ne scoppia e scocca.
Rompe l’aria il gran bombo, e ’l Ciel percote,
e risponde tonando Eco a le note.

388.Veder de’ duo destrier, poi che fur mossi,
fu spavento lo scontro e fu diletto,
quando rotti i troncon nodosi e grossi,
fronte con fronte urtár, petto con petto.
Rimbombár lunge, e sfavillár percossi
ambo gli scudi, e l’un e l’altro elmetto.
Fu de l’armi il fulgor, de’ colpi il suono
agli occhi un lampo, ed a l’orecchie un tuono.

389.Il broccal de lo scudo a l’altro incise
quel che venia con l’Aquila grifagna.
Falsollo, e la divisa anco divise,
che dispersa n’andò per la campagna.
L’altro segnò piú basso, e ’l ferro mise
per entro il corpo al corridor di Spagna,
che con Tremoto poi venuto a fronte,
n’andò col suo Signor tutto in un monte.

390.Visto il suo bel destrier che sanguinoso
per 1’incontro mortai s’accoscia in terra,
di vendicarlo il Cavalier bramoso,
da le staffe si sbriga, e ’l brando afferra.
— Tu non sei né gentil, né valoroso,
ch’a sí degno animai fai torto in guerra,
guerier villano e discortese! o scendi,
o da simil perfidia il tuo difendi. —