Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/73

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251.Poi che tra lo stupore e la pietate
Adon dubbio tra sé ristette alquanto,
e prestò piú benigne e men turbate
l’orecchie a quel pregar, le luci al pianto,
in sua voglia ostinossi a l’ascoltate
note non men che soglia aspe a l’incanto.
Sopir però quelle faville accese
vòlse, se non pietoso, almen cortese.

252.Un non so che di molle il cor gli stringe,
ma la somma beltá ch’entro v’è chiusa
l’ingombra sí, ch’ogni altro amor ne spinge,
onde vezzi ed offerte odia e ricusa.
Fiamma di sdegno e di vergogna il tinge,
da la cui forza è l’altra fiamma esclusa;
onde con un parlar rigido e dolce,
cosí dicendo, or la corregge, or molce:

253.— Donna, assai ti degg’io, pria che si scioglia
questo dever, si disciorrá la vita.
Fin che chiusa fia l’alma in questa spoglia,
Falsirena nel petto avrò scolpita.
Cosí signor fuss’io d’ogni mia voglia,
come pronto m’avresti a darti aita.
Ma che poss’io? Forza d’onor mi move,
e tenor di destin mi chiama altrove.

254.Teco meglio amerei (lecito fosse)
rimaner fra tant’agi a trastullarmi,
che quanto mai da Tonde azurre o rosse
oro Tinstabil Dea possa recarmi.
Fama a venir di tua virtú mi mosse
sol per vederti, e poi lassú tornarmi;
ché se gli affari miei ti fusser noti,
compatiresti ai miei perpetui moti.