Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/753

Da Wikisource.


495.Quegl’infelici e miseri, ch’oppressi
dal crudel di Bizanzio empio Tiranno,
de le dure catene i ferri istessi
logori quasi con le membra avranno,
per lui sol fiano in libertá rimessi,
per la sua man ha vendicato il danno;
e poi che l’Oriente avrá distrutto,
si fará tributario il mondo tutto.

496.Non di Sol, non di gel tanto ardimento
affrenar mai potranno ardori o brume.
Veggio l’Indo e ’l Gelon, quel di spavento
gelar, questo sudar contro il costume.
Veggio la Luna Trace il puro argento
macchiar di sangue, impoverir di lume.
Torbido il Xil giá per sett’occhi piange,
e l’aureo suo pallor raddoppia il Gange.

497.Veggio che sol per lui la Tana estrema
piú di timor che di rigore agghiaccia.
Scote i suoi boschi il Caucaso, che trema
di quel valor, che ’l giogo gli minaccia.
Giá cede il Partilo, e disusata tema
con non mentita fuga in fuga il caccia.
Veggio gli archi depor Meroe al suo nome,
e di saette disarmar le chiome.

498.Marte (non ch’altri) il qual per tema eletto
s’ha l’albergo lassú nel cerchio quinto,
converrá che piú alto abbia ricetto,
s’esser non vuol anch’egli in guerra vinto.
Pia Giove ancor d’alzar il Ciel costretto,
ed allargar de l’Universo il cinto,
ché T suo nome, il suo ardir non ben si serra
tra gli spazii de l’aria e de la terra.