Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/95

Da Wikisource.


27.Pregando, amando, e lagrimando (ahi folle)
ottener l’impossibile credei.
Far una selce impenetrabil molle
piú tosto che quel core, io spererei.
Quanto piú foco in me vede che bolle,
tanto schernisce piú gli affanni miei.
E pur vòlta ad amar bellezze ingrate,
di chi mi fa doler prendo pietate.

28.Né per tante repulse io lascio ancora
di correr dietro a l’ostinate voglie.
Ogni altra donna alftn, che s’innamora,
se bene il morso a l’onestá discioglie,
pur sfogando il martír che l’addolora,
premio de la vergogna il piacer coglie.
Io senza alcun diletto averne tolto
sol de la propria infamia il frutto ho colto.

29.Vendo la libertá, compro il dolore:
serva son di colui che ’n career chiudo:
e pago a prezzo d’anima e di core
pianti e sospir, che ’l fanno ognor piú crudo.
Da cosí caldo e cosí saldo amore
qual mai potrebbe adamantino scudo,
se non solo quel petto, andar securo,
altrui tenero forse, a me sí duro?

30.Oh beata colei che ’l cor gl’impiaga,
felici que’ begli occhi, ond’arde tanto!
Quanto oh quanto sarei d’intender vaga
chi sia costei, c’ha di tal grazia il vanto.
Ma di pietra per certo, o d’erba maga
egli in sé cela alcun possente incanto,
poi che gióvan sí poco a far che m’ami
malíe tenaci, o magici legami. —