Pagina:Marino, Giambattista – Epistolario, Vol. I, 1911 – BEIC 1872860.djvu/175

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V. A. la naturale inclinazione del mio ingegno, il cui genio non posso negare che nella deliziosa e piacevole arte delle muse non si trattenga volentieri e che non sia di questo onesto trastullo tanto invaghito che, disprezzati molti altri studi piu utili, da’ quali potrebbe per aventura procacciarsi vitto e sostanza, par che solamente di esso si nutrisca. Dicono i naturali che la cicala canta non con la bocca ma col petto, e che canta appunto in sul filo del mezogiorno estivo, quando ha maggior forza l’arsura del sole. Il che certo si verifica ancora in me, poiché si come fu questo divoto discorso solo da caldo di divina caritá concetto e formato, cosí procede piú dal cuore che dalia lingua e piú mi muove a publicarlo affettuoso spirito di compunzione che vana ambizione d’applauso. Dovrá, se la speranza non mi schernisce, esser da V. A. non meno con prontezza accettato che con umanitá gradito. Né sará forse la musica di questa importuna cicala al suo invitto e sempre invincibile genitore per esser dispiacevole, ancorché occupato nelle cure gravi dello Stato e negli affari importanti della guerra. Poiché, se de’ prencipi parliamo, Epaminonda tra’ greci e molti imperadori tra’ latini si sono della musica dilettati; e se de’ guerrieri, l’amazoni trattavano l’armi al suono de’ calami e i lacedemoni e i cretensi incitati da essa combattevano. Ricordo a V. A. che se Apollo dona il caduceo a Mercurio, Mercurio a rincontro non ha con che contracambiare il dono d’Apollo se non con la lira. L’uno è simulacro del prencipe, l’altro del letterato. Quello offre protezione, questo porge fatiche. E con qual altro segno di gratitudine può la mia debolezza riconoscere le tante grazie con le quali Ella in molte opportunitá mi si è dimostrata favorevole, che con poesie o con componimenti musicali qual è questo ch’io al presente le presento? Scusi la confidenza, perdoni all’ardimento e condoni l’una e l’altro all’affettuosa e divota osservanza dell’animo mio. E senza piú, il pregare a V. A. dal cielo compiuta prosperitá e felicitá vaglia per fine di questa.

Di Torino, a di 15 d’aprile 1614.