Pagina:Marino, Giambattista – Epistolario, Vol. I, 1911 – BEIC 1872860.djvu/237

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la qual cosa fa di mestieri che da una parte la ragione, ch’ è la timoniera, se ne stia del continovo vigilante al governo della nave; e dall’altra i sensi, che sono i marinai, movendo i remi, si sforzino senza allentar l’essercizio di superare con le fatiche le difficoltá, accioché quella, come Palinuro, traboccando addormentata dalla trascuragine, non rimanga giuoco della procella, e questi, impigriti nella negligenza non lascino, come Sergesto, il suo centauro sdruscito lontano dalla meta ed ultimo nch’arringo. Né dee l’anima nostra, agitata dall’acque di questo abisso, imitare Europa, la qual valicando il mar di Creta rivolgeva il viso alla sponda donde le compagne la richiamavano indietro; ma piú tosto, a guisa di Leandro procedendo arditamente innanzi e rompendo con vigorose braccia i flutti procellosi delle tante malagevolezze, aspirare al termine di esse con tener gli occhi sempre rivolti e fermi alla luce del lido che la invita alla immortalitá. In questo pelago entrai giá io, navigante inesperto, insin da’ primi anni della mia fanciullezza quasi per ischerzo, e pur non senza qualche intoppo e spavento incominciai a solcarlo disconfortato e poco inen che sbigottito, non tanto dai lunghi sudori e dalle dure vigilie che seco ordinariamente recano le muse, quanto dai severi consigli paterni, che spesse volte anche con minacce si sforzavano di ritirarmi ad altri studi da quelli a’ quali la naturale inclinazione del mio genio mi portava. Presi poi a poco a poco quasi a rader l’arena ed a costeggiar la riva; e non altrimenti di quel che giá avvenne al profeta Ezechiello, Tacque, che pur dianzi appena mi toccavano le piante, di mano in mano si avanzarono alle ginocchia, indi pian piano crebbero tanto che, soprafacendomi la gola, erano vicine a soffogarmi. Ingolfato finalmente a piena voga nella profonditá di questo immenso gorgo dove rari nuotatori appaiono, è stato si fatto il cumulo delle controversie le quali mi si sono fatte incontro, che senza l’arbore della fortezza, senza il timone della prudenza e sopra tutto senza la stella del divino aiuto, fora stato impossibile a schermirmene. Chi può dire quante traverse di sciagure, seccagne di calamitá, grandini d’iniquitá, nembi di perfidie, turbini di tradimenti ingiusti, sirti d’assassinamenti scellerati, cariddi di latrati canini, scille di morsi velenosi,