Pagina:Marino, Giambattista – Epistolario, Vol. II, 1912 – BEIC 1873537.djvu/104

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promesse che ha fatte al mondo di dover publicare i suoi epici componimenti, co’ quali tengo per fermo che, secondo le zioni degli altri suoi scritti, Ella sia per superar la prò; degli altri scrittori. Parlo degli scrittori non solamente d ma anche delle lingue antiche, i quali (cosi soglio dir sen potesser vedere gli scritti del signor Marino, io mi fo a credere che gli scritti loro tanto meno piacerebbono a loro stessi quanto piú piacevano a’ loro secoli. Conosco ch’io parlo arditamente cosi ora, come son solito di far sempre nelle domestiche conversazioni ; ma voglio piú tosto dir ciò ch’io sento che tacer quello che mi par che V. S. meriti. Al rimanente, egli pare che ora nell’Italia o gl’ingegni languiscano o gli studi della poesia intepidiscano, non so per qual costellazione o sciagura di questi tempi. So bene ch’io per la mia parte m’astengo dallo scrivere, non per altro se non perché l’opere di V. S. mi sgomentano si fattamente ch’io soglio dire esser temeritá il por inano al mestier del poetare, il qual fu sempre malagevole per l’eminenza dell’arte ed ora è temerario per la sublimitá del paragone. Egli è vero che questi giorni addietro fu ristampato il mio libretto con alcune giunte, e non manca tuttodí qualche altro scheccheratore. Ma conosco in veritá che I’ombre mie e altrui non vagliono ad altro che a fare spiccar maggiormente il lume della gloria sua. Tutta l’ Italia aspetta con disiderio grande l ’Adone, del qual poema mi fúr dette in Roma gran cose dall’ illustrissimo e reverendissimo signor cardinale Ubaldini, e io ho seminata per tutto la testimonianza ch’egli a me ne fece. Onde l’aspettazione universale è grande, ma se ne sperano gli effetti molto maggiori. Priego intanto V. S. a voler gradire questa qualsisia dimostrazione d’osservanza mia verso lei, attribuendo questo ufficio all’affetto mio, il qual non può esser soverchio dov’egli ha proporzione con tanto merito. Gli amici, la cittá, l’ Italia invidiano la persona di V. S. a cotesto cielo; senonché andiamo soflerendo questa lontananza con la consolazione che abbiamo degli onori Ch’Ella riceve dalla magnanima grandezza di cotesto re.

Col qual fine il signor Achillini, parzialissimo ammiratore di V. S., insieme meco le bacia affettuosamente la mano, e preghiamo il signor Iddio che la conservi lungamente per ornamento alle lettere e per gloria del nostro secolo (ri.

Di Bologna [1620].

(1) Per la risposta del Marino a questa lettera si veda nel primo voi., p. 249 [Ed.].