Pagina:Marino, Giambattista – Epistolario, Vol. II, 1912 – BEIC 1873537.djvu/130

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del Sole; non con le ghiande di piombo, frutti di Saturno. Ma forsi l’aversario, il cui lauro è sterile ed infecondo, non avea bacche da gettare; onde ricorse per aiuto al piú maligno pianeta che s’aggiri per lo cielo. E perché il Sole ha forza di liquefare il piombo, l’ofTesa si rissolse in tuono: quanto però alla persona di V. S.; percioché, quanto a quella del povero Braida, non è alcuno che non senta sino al vivo dell’anima quella ferita che cosi teneramente Ella compiange. Oh quanto V. S. gli dee! ché se l’amore glielo fece compagno, la fortuna di lei lo fece depositario di quel colpo che portava la morte in fronte.

Orsú, seguirò in andar mostrando il manifesto, poiché, discolpando l’onore, onora l’intelletto; né resterò, come suo vero amico, di metterle in considerazione che almeno lo scoppio passato, oltre l’aver svegliata la pianta del suo ingegno a produr frutti novelli e oltre il grido recatone al suo nome, doverebbe ancora servire a V. S. per uno svegliamento alle cose del cielo ed alla salute dell’anima, se forsi in ciò Ella dormiva.

[Di Bologna, febbraio o marzo 1609].

XVII

Al cardinale Spinola, legato in Ferrara


Lo ringrazia d’avergli promesso di fargli sapere a suo tempo ciò che sará risoluto circa la sua nomina alla cattedra vespertina di leggi nell’universitá di Ferrara.

[Di Bologna, maggio o giugno 1609].

XVIII

Al medesimo


Non appena riceverá la lettera del magistrato de’ Savi di Ferrara con cui gli si ofírirá la cattedra, risponderá accettando e pregando di ottenergli l’approvazione da Roma.

[Di Bologna, maggio o giugno 1609J.