Pagina:Marino, Giambattista – Epistolario, Vol. II, 1912 – BEIC 1873537.djvu/218

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CXXXVII

Di Giovanni Francesco Busenelli I nvia un’ode laudativa.

Mando questa ode a baciare il lembo delle vostre muse e a dirvi che il nostro secolo è in procinto di farsi idolatra alla vostra immortale virtú. Io vi riverisco con una devozione che mi mette in obligo di credervi collocato sopra l’umanitá; e non vi fabrico altari, perché la vostra modestia me lo impedisce. Ho piú ambizione di una vostra risposta che volontá di star vivo. Però doverete rubbar a’ vostri affari piú gravi un’ora e beatificare le mie speranze. Altra volta vi scrissi e fui onorato di una vostra lettera, che conservo nel ripostiglio delle cose piú preziose.

[verso il 1632?].

Achillin, volan gli anni e ’I tempo avaro, ch’è de le glorie umane abisso e notte, assorbe i nomi e le memorie ingiotte, e spegne a un soffio ogni splendor piú chiaro.

Il balsamo a le membra essanimate prometter suole un favoloso sempre; ma gli aròmati alfin son vane tempre, ché vanno in polve ancor Possa gelate.

Scalpello industre e sovrafin disegno umana i sassi e palpitar fa i marmi; ma tutto invan, perché del tempo l’armi a le memorie altrui tolgono il regno.

D’ingegno peregrin l’opre e le carte, indocili al morir, con forti essempi vagliono sole a contrastar coi tempi e mercan da le stelle un cielo a parte.