Pagina:Marino, Giambattista – Epistolario, Vol. II, 1912 – BEIC 1873537.djvu/26

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due circostanze, cioè la bassezza della offerta dal canto mio e l’eminenza del personaggio dal canto suo. Ma era legge de’ persiani (come Ebano racconta) che ciascuno tributasse il re loro di qualche donativo conforme alle proprie facoltá qualunque si fusse. E Licurgo voleva che si offerissero agl’ iddii cose ancorché minime, per non cessar giamai d’ onorargli. Queste ragioni scusano in parte il mancamento del donatore. Ma per appagare la grandezza di colui a cui si dona, dirò solo che quell’ istesso Ercole di cui parliamo, per dar alle sue lunghe fatiche qualche sollazzevole intervallo, deposta talvolta la clava, soleva pure scherzando favoleggiare con gli amori. Achille, mentre che nella sua prima etá viveva tra le selve del monte Pelia sotto la disciplina di Chirone, soleva (secondo che scrive Omero) dilettarsi del suono della cetera, né sdegnava di toccar talvolta l’umil plettro e di tasteggiar le tenere corde con quella mano istessa che doveva poi con somma prodezza vibrar la lancia, trattar la spada, domare destrieri indomiti e vincere guerrieri invincibili. Per la qual cosa io non dubito punto che fra l’altre eroiche virtú ch’adornano gli anni giovanili di S. M., in tanta sublimitá di stato, in tanta vivacitá di spirito ed in tanta severitá d’educazione, non debba anche aver luogo l’onesto e piacevole trastullo della poesia. E se il medesimo eroe pargoletto (come narra Filostrato), quando ritornava dall’essercizio della caccia, stanco per la uccisione delle fiere, non prendeva a schifo d’accettare dal suo maestro le poma ed i favi in premio della fatica con quello istesso animo grande con cui poi aveva da ricevere le palme e le spoglie delle sue vittorie; perché non debbo io sperare che S. M., non dico dopo le cacce nelle quali suole alle volte nobilmente essercitarsi , ma dopo le guerre le quali con troppo dure distrazioni l’incominciano ad occupare, abbia con benignitá a gradire questo picciolo e povero dono, presentato da un suo devoto, il quale appunto altro non è che frutto di rozo intelletto e miele composto di fiori poetici, quasi lieto e sicuro presagio de’ ricchi tributi e de’ trionfali onori che in piú maturo tempo saranno al suo valore offerti? Panni veramente la figura biforme di quel misterioso semicavallo ben confacevole al mio suggetto,