Pagina:Marino, Giambattista – Epistolario, Vol. II, 1912 – BEIC 1873537.djvu/295

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V. S. abbia a questa calunnia prestato il totale assenso della sua credenza. Poiché Ella, riamando me come io amo lei ed essendo quella celebre persona e quel nomato poeta che è, non ha la cagion ch’essi hanno di volermi male, la quale è la sola invidia ed il solo livore; massimamente questi di Parma, per rispetto dell’abitar ch’io ci fo, dove la mia presenza gli offende non poco col fargli parer da meno che non parrebbono s’io fussi altrove.

Questo credere di V. S. (presupposto che tra noi passi vero amore, quale realmente passa, e che Ella sia un valente virtuoso, quale realmente è) m’ha recato doppio stupore.

Primamente io mi sono stupito perché giudicavo che V. S., come sincero amico e reciproco e come della mia fede assicurato per piú prove, dovesse misurare il mio animo dal suo e presumere ch’io non potessi avere avuto giamai intenzion d’ ingiurar lei sotto tal velame; se pure non voleva Ella farmi questo si gran torto, il quale è di stimarmi si fattamente piggior di sé nell’amicizia, che credesse ch’io avessi fatto verso di lei quello ch’Ella pretende che non farebbe mai verso di me. Tanto piú, avendola io lodata apertamente in piú d’un luogo del mio Canzoniero stampato ed anco spessissimo a bocca nelle pubbliche accademie e ne’ ragionamenti famigliari, secondo ch’è noto per tutto e secondo che può il medesimo Magnanini farne costi a lei testimonianza di certa scienza. Il quale, essendo stato molti anni scolare nello studio di Parma ed avendo non poco frequentata la mia casa e la mia conversazione (per lo vincolo del dottor Magnani, suo lettore e mio dilettissimo amico, che è meco ogni giorno), m’ha sentito parlare onorevolmente della persona di V. S. non meno d’un migliaio di volte.

Appresso io mi sono stupito, perché mi persuadevo che V. S., come uomo che professa belle lettere e che di quelle ha rivoltati a’ suoi giorni non pochi volumi, dovesse aver piú fiate letta ed udita l’istoria naturale del predetto pesce mostruoso simile agli uomini, il quale si chiama anco «cavalier marino» dal cavalcar ch’egli fa gli altri pesci, essendo solito d’esser

G B Marino, C. Achillini e G. Preti, Lettere - 11.

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