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LXXIV

Al signor Francesco Balducci, a Montelibretti


Gli annunzia che lascera Roma per ritirarsi a Matera.

Mi scrive V. S. aver udito per cosa certa da un nostro commune amico ch’io debbo in breve cambiar la stanza di Roma con un’altra, ma che infino a qui non ho dichiarato quale; onde con prieghi mi soggiunge che, poiché di tal mia partenza il termine a quo (come il dicono i filosofi) è noto, io le notifichi parimente il termine ad quem , significandole insieme la cagione di questa impensata novitá. Rispondo esser verissimo ch’io mi parto, e che si come il «donde» è Roma, cosi il «per dove» è Matera. La causa della deliberazione non è una, ma son due: perché da un canto m’è venuta oramai troppo a noia la lunga ingratitudine della corte, e dall’altro mi s’è troppo accresciuto il solito desiderio dell’abitazion paterna, per rispetto della mia sopravenuta vecchiezza, giá bisognosa d’agi e di commodi. Voglio in tutti i modi contentar l’onesta inchinazion della natura, con dare i miei ultimi giorni a chi diedi i primi e con aver la sepoltura dove ebbi la cuna, parendomi assai giusta cosa ch’io restituisca le mie ossa a quel terreno da cui le ricevetti e che, se non vi son dimorato vivo, vi dimori morto. Almeno non morrò in terra strana ed in mano di servidori, ma nella patria ed intorniato dai miei. Oltre che, lá si vive piú commodamente colla poca entrata che non si fa qui colla molta. Partirò dunque, se sarò vivo, questo prossimo ottobre, che la stagion si sia raffrescata appieno, acciocché invece di mutarsi cittá non si mutasse mondo. Il che volentieri io paleso a V. S. non solo perché Ella sia soddisfatta della sua dimanda, ma perché, volendo qualche volta onorarmi de’ suoi comandamenti, sappia dove scrivermi, infin chea Dio piaccia ch’io finisca questo estremo avanzo della mia vita. Il quale, o che debba esser di mesi o che d’anni o che di lustri, me ne rimetto interamente alla sua divina volontá, e dentro a quella m’acquieto ed in quella mi