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CCXLIII

Al medesimo


Si dichiara pronto a sottomettersi al giudizio che dell’Adone dará il censore pontificio, Cardinal Pio.

Ho caro che le scatole sieno capitate bene, e per ora non mi occorre altro da scrivere a V. S. di nuovo.

La correzione del mio Adone non poteva esser commessa a miglior censore che all’ illustrissimo signor Cardinal Pio, il quale, lascio che sia mio antico signore e che si sia sempre dimostrato parzial protettore di me e delle cose mie, almeno è uomo che sa, di finissimo giudicio e versato ne’ poeti antichi e moderni. Priego V. S. a fargli una umil riverenza in mio nome e dirgli quanto io spero che abbia la mia riputazione a cuore. Ma con tutta la servitú devota ch’io gli professo, non intendo però d’obligarlo a perdonarmi le staffilate, s’io le merito. Se il libro merita il fuoco, che si abbruggi e si condanni all’oblivione, perché mi contento di soggiacere piú tosto alla sentenza ancorché rigorosa d’un personaggio nobile, intelligente e che rimira le cose con animo benigno e con occhio spassionato, eh ’alle goffe sindicature di certi uomini plebei, indiscreti ed incapaci. Ricordo al signor cardinale ch’egli fu prima prencipe che prete, e perciò non dovrá dimostrarsi molto scropoloso intorno a certe bagattelle, le quali non pregiudicano punto alla religion cattolica. Che vi sia dentro qualche Iascivietta lo confesso, ma quanto vi è di lascivo è tutto indirizzato al fine della moralitá, si come potrá ben comprendere chi vorrá leggerlo attentamente, e si come io farò vedere al mondo in un lungo discorso scritto da me sopra questo suggetto, dove dimostro la differenza ch’è tra la lascivia dello scrivere e l’oscuritá, e quali sono i poeti che Platone discacciò dalla republica come perniciosi. Basta, quando pur vi fusse qualche cosa da levar via, son pronto ad ubbidire.

Non son piú lungo, perché sono occupatissimo e scrivo in fretta.

Di Napoli [autunno 1624].