Pagina:Marino, Giambattista – Epistolario, Vol. II, 1912 – BEIC 1873537.djvu/74

Da Wikisource.

CCXLIV

Al medesimo


M anda un sonetto.

Ecco il sonetto in risposta di quel di V. S. So che do versi per versi, ma non giá poesia per poesia, perché lá dove la sua composizione è tutta leggiadra e spiritosa, la mia è cosi mendica di spiriti che sembra piú tosto cadavero che vivezza d’ingegno. Qual si sia, la riceva e sappia che ’l mestiero de’ versi non è per quelli che s’incaminano verso l’occaso. Apollo è giovine e le muse son pulzelle vergini, e come non praticano volentieri co’ vecchi, cosi si maritarebbero lietamente a giovani senza barba.

Mi ami al solito.

Di Napoli [autunno 1624].

CCXLV

Al medesimo


Complimenti.

Io sempre dissi dopo il mio ritorno da Parigi a Roma che le poesie di V. S. erano tutte spirito, e che quanto Ella s’allontanava dalla strada battuta de’ poeti non meno critici che stitici, tanto piú rendeva glorioso il suo nome. Mi stimola a farne questa nuova testimonianza per lettera l’occasione che me n’ha presentata V. S. con l’inviarmi la Canzone in morte del serenissimo principe Filiberto , il quale viverá vita immortale nella fama delle sue opere magnanime e nella eternitá delle Rime eroiche di V. S.

lo l’ho letta e riletta piú volte, sempre con nuovo gusto e con nuova maraviglia, perché la sua frase è peregrina, i concetti nobili, il numero gentile e da quando in quando il lettore s’incontra in quel non so che inaspettato che cosi da Aristotele si commenda. Me ne rallegro seco di cuore, e mi rallegro anche meco d’aver per amico e per parziale un soggetto che