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Pagina:Marino Poesie varie (1913).djvu/156

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144 parte terza

o perché non ebb’io
un sí saggio pensier, quando fui bella?
Invan fui bella, invano or son dolente! —
Cosí poi finalmente
dal vulgo abietto de’ pastor n’andrai
rifiutata e schernita,
di tua vana follia tardi pentita.
Questi discorsi miei, questi miei detti
son pur, s’io non m’inganno,
sí chiari e palesi,
ch’esser devriano intesi.

filaura


Io t’intendo pur troppo;
anzi se’ tu che me non ben intendi:
di non intender te giá non diss’io.
Io dissi, o pur dir vòlsi,
ch’intenderti non voglio, e ch’a’ tuoi preghi
non intendo piegarmi.
Udir concetti e carmi
io mi credea piú grati e piú giocondi;
e tu cose m’apporti, onde piú tosto
mi spaventi e minacci.
Non son queste, non sono
le vie per ottener quanto tu brami.
Orsú! facciam ch’io t’ami:
qual guiderdon, qual dono
in cambio del mio amor tu mi prometti?

fileno


Amor è sol d’amor prezzo conforme;
e che può piú donarti
chi t’ha donato il core?