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358 | parte ottava |
ii
miseria della vita umana
Apre l’uomo infelice, allor che nasce
in questa vita di miserie piena,
pria ch’al Sol, gli occhi al pianto, e, nato a pena,
va prigionier fra le tenaci fasce.
Fanciullo, poi che non piú latte il pasce,
sotto rigida sferza i giorni mena;
indi, in etá piú ferma e piú serena,
tra Fortuna ed Amor more e rinasce.
Quante poscia sostien, tristo e mendíco,
fatiche e morti, infin che curvo e lasso
appoggia a debil legno il fianco antico?
Chiude alfin le sue spoglie angusto sasso,
ratto cosí, che sospirando io dico:
— Da la cuna a la tomba è un breve passo! —
iii
la mutabilità del tempo
Fanciulla in prima, inghirlandò di fiori
le sue chiome la terra, e verdeggiante,
piena d’odor, d’amor l’erbe e le piante,
spiegò superba i suoi novelli onori.
Giovinetta poi bionda, i gravi ardori
sfogò col ciel, suo non ingrato amante,
e da l’accese viscere anelante,
invece di sospir, trasse vapori.
Indi, matura, al Sol dolce e sereno
fu que’ parti feconda espor veduta,
onde gravido avea pur dianzi il seno.
Or giunta la stagion fredda e canuta,
di rughe il volto, il crin di neve ha pieno.
Cosí stato ed etá qua giú si muta!