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versi satirici 397

x

la confessione del marino

Sonetto di Gaspare Murtola.

     Quell’io Marin, quell’io, che sí nomato
per tutta Italia fui, matto e buffone,
eccomi qui, legato ad un troncone
da la giustizia, ad essere abbruggiato.
     Oh trista sorte mia, perfido fato,
come condanni alfine le persone!
E chi di me non ha compassione,
mentre confesso e piango il mio peccato?
     Fratelli e amici, che me qui mirate,
attentamente li miei falli udite,
e a Dio l’anima mia raccomandate.
     Di patria fui napolitan, di padre
povero e vile ed avezzo a carpire,
sfacciato e pronto e di maniere ladre.
                              Una donna mia madre
fu cosí fatta, e a lei conforme io crebbi,
e, capretto, di vacca il latte bebbi.
                              Dipoi, subito ch’ebbi
ott’ o dieci anni, incominciai a ’mparare
la Santa croce ed a la scola andare;
                              e sotto il mastro stare,
che mi scorreva il testo e la rubrica
e dietro ’l tergo mi trovò la fica.
                              Indi, vita impudica,
piú che lettere, seppi, e, a stupri inteso,
la carne mia vendetti a tanto il peso.
                              Ma, poi che ciò conteso
mi fu da la statera irruginita,
mi bisognò trovar un’altra vita;
                              e, con la man spedita,
a scritti ricopiar l’animo fissi,
e molto tempo poi cosí ne vissi.