Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 101 — |
lizzate, perdono il loro senso e il loro valore. Se tutti mentissero, è vero che la menzogna non servirebbe più a nulla e riuscirebbe ad una contraddizione logica; «ma se tutti dessero le loro sostanze ai poveri, a che cosa servirebbe la carità?»1
4. Per risolvere queste difficoltà ci è necessario richiamare in breve sintesi la sottostruttura metafisica della critica kantiana specialmente in rapporto al concetto della forma.2 È un fatto, non stato ancora abbastanza rilevato, che per la sua distinzione dell’elemento materiale e formale Kant riproduce nel seno dell’idealismo subbiettivo l’antico dualismo platonico-aristotelico; con l’essenziale differenza però che il processo costitutivo della realtà per virtù del principio formale si identifica in Kant con l’attività formatrice dello spirito. Tutto ciò che ha realtà e valore è libera creazione della spontaneità dello spirito, la quale si esercita per mezzo della sua attività formale; in ogni momento lo spirito ha di fronte a sè un molteplice dato, una materia oscura, alla quale esso imprime una forma e conferisce un valore, teoretico o pratico, innalzandola ad un superiore grado di realtà. Quest’attività si può distinguere in due gradi, caratterizzati dall’intelletto e dalla ragione; noi potremmo anche denominarli, a potiori, lo spirito teoretico e lo spirito pratico.
Il primo comincia con il molteplice dell’intuizione sensibile e si chiude con la costituzione dell’esperienza, nella quale le intuizioni sono strette in rapporti universali e necessari per mezzo di concetti intellettivi puri e formano un sapere obbiettivo universalmente valido. Quest’attività teoretica dell’intelletto ha la sua corrispondenza in una fase pratica parallela: creando l’esperienza, essa apre all’uomo il dominio della realtà, introduce la possibilità della coltura e dà origine a tutte le arti che hanno per scopo il raffinamento dell’esistenza sensibile. Certo questo mondo dell’esperienza, che è una costruzione nostra,