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ancora possibile, questo è possibile soltanto nell’indirizzo che Kant ha tracciato: d’una religiosità ricondotta alla sua più pura interiorità, informata ad uno spirito morale severo, fondata sulle conquiste più alte della ragione e rispettosa dei sacri diritti della personalità e della coscienza.

Ma questo non è forse che un sogno: uno di quei sogni che lo spirito si tesse, quando si rappresenta la realtà come illuminata ed animata dai fini stessi dello spirito. E non è veramente un sogno lo sperare che una dottrina alta e pura possa diventare il pane spirituale delle moltitudini, penetrarne la coscienza, elevarle verso le forme più delicate e più nobili della vita? Lasciamo quindi queste illusioni, che del resto non hanno importanza. Se un voto io posso a questo riguardo formulare, questo è ben più ragionevole e modesto: ed è il voto che gli spiriti assetati di verità, di libertà e di giustizia, travagliati dalle contraddizioni spirituali dell’età nostra, possano nel pensiero kantiano trovare quella direzione, quell’elevazione e quel conforto che non possono trovare in nessuna religione ed in nessuna chiesa. Perchè l’opera dei grandi filosofi non è solo destinata a nutrire le dispute degli eruditi ed i clamori delle scuole: il suo compito più vero e più alto è quello di confortare, fortificare e guidare nei secoli le anime migliori e perpetuare così attraverso i tempi quella comunione dello spirito che è già qui il più grande dei beni e nello stesso tempo fondamento e speranza d’un bene più duraturo e più alto.