Pagina:Martinetti - Saggi e discorsi, 1926.djvu/160

Da Wikisource.

— 160 —

saria. Ma la filosofia (e la religione, come sappiamo, non è che una filosofia in simboli) è soltanto una contemplazione passiva della realtà passata. Essa non aggiunge alcuna forma nuova: riflette e contempla l’attività dello spirito, in quanto questa si eleva per gradi alle creazioni della vita morale; e supera la vita morale non per creare alcuna nuova obbiettiva realtà di vita, ma soltanto per riflettere e contemplare la vita morale stessa e tutta la serie di momenti che l’antecedono e la preparano. Lo spirito ha perciò la sua rivelazione obbiettiva più alta nella vita morale: e la vita morale culmina per Hegel, come è ben noto, nella vita dello Stato. Quindi non deve recare meraviglia se Hegel, quando si tratta di proporre un oggetto vero e concreto alla venerazione religiosa, non può additarci altro che lo Stato.

Ed in questo senso infatti Hegel si è pronunciato nel modo più esplicito fin dagli inizi della sua speculazione teologica. Già fin d’allora la religione è per lui un semplice travestimento simbolico di verità morali: e poichè la verità morale è vivente solo nell’unità della vita collettiva, così Dio non è che il simbolo dell’unità morale di un popolo: il passaggio alla religione trascendente è una degenerazione. In questo senso già egli spiega nei suoi frammenti di Berna il passaggio dalla antica religione ellenica alla religione cristiana. La religione dei popoli antichi era religione di popoli liberi: l’uomo antico aveva nella patria e nelle sue leggi l’ideale più alto, al quale era pronto a sacrificare la sua individualità: egli non aveva bisogno di mendicare per sè un’immortalità personale. Per il repubblicano antico l’anima era lo Stato, che era per lui qualche cosa di eterno. Catone Uticense si volse a Platone solo quando ciò che per lui era l’ordine supremo delle cose, la libertà della sua repubblica, fu distrutto; allora cercò un rifugio in un ordine trascendente. Ma quando il corso naturale delle cose creò nel seno di quegli Stati liberi un’aristocrazia, a cui poco per volta il popolo abbandonò la cura della cosa pubblica, e dal cozzo di queste aristocrazie si levò l’ordinamento burocratico e militare della servitù romana, allora la via fu aperta al cristianesimo. Allora scompare l’immagine dello Stato come fine ideale supremo: l’individuo è fatto centro a sè e relegato nella sua piccola vita e nei suoi interessi privati. Allora veramente la morte diventa qualche cosa