Pagina:Martini - Trattato di architettura civile e militare, 1841, I.djvu/137

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di fr. di g. martini. 117

con uno stile ovvero punta (come allora usava, invece del lapis), e poi esattamente ripassati con inchiostro, ora fatto rosseggiante per la vecchiezza: la prospettiva non vi è sempre esatta, ma hanno ciò non ostante una tale chiarezza tutta loro propria.

I fogli sono alti 0,436, larghi 0,292. Precedono quattro fogli bianchi, poi comincia al f.o 1 recto la numerazione: il formato è il solito dei codici di quella grandezza, cioè il foglio piegato in due. Segue il trattato sino al f.o 102.

Dal foglio 103 al 192 è inserita una italiana volgarizzazione di Vitruvio, la quale per essere contenuta tra il testo anzidetto ed il codice di disegni che vien dopo, ambedue opere certe di Francesco di Giorgio, e cucite nella stessa antica legatura in assicelle, parve al professore Del Rosso poter essere lavoro dello stesso autore. Io sono di differente opinione. Dello stile del traduttore (che chiunque sia non è nè più colto, nè più barbaro del Cesariano, del Durantino, del Caporali) può il lettore dar giudizio dal presente squarcio del capo I del libro I. «L’architetura consisthe in due chose in frabicha e razocinatio La frabicha è chontinuato pensiero circha aluso col quale pensiero e huopera a proposito della formatione fassi di materia diciaschuna generatione Ratiocinatio è demostrare e desprichare lechose inanzi che fabrichate sono chon propositione di sotilita e ragione. Per tanto agli architeti che senza letera chontendano di quele chose che chole mani fusero exercitati hotenere non posano fare che per la loro fatiga abino aultorità choloro che nella ragione e nelle letere si sono chonfidati hombra e non efetto auere seguitato paiano. Ma quelli che fusero per perdere luna di queste due meglio sarebe auere laultorità. Nientedimeno cholui che uole auere ordine desere chiamato architetto sapi due chose a lui esere grandemente necesarie ingienio e dotrina perchè lo ingienio senza dotrina holla dotrina senza ingienio lartefice perfetto far non può. E per tanto ec.» (1). La lingua dimostra che il volgarizzatore è

  1. Da qual codice sia ricavato questo volgarizzamento, io non saprei dire: ben doveva desso esser mutilo, poichè il traduttore non riporta nè la dedica ad Augusto, nè la perorazione in calce al libro decimo: mancanvi pure qua e là parecchi periodi, tra i quali il primo del riferito squarcio. Pochissime sono le figure, e di nessun conto.

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