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tazioni in un solo piano si potriano edificare: la qual cosa molti hanno fuggito per non occupare tanto terreno, nè fare grandi estensioni. Ma in quanto alla commodità essendo sopra adequamenti tanto alti che le umide esalazioni potessero espirare, senza alcuna infezione delle stanze: e queste tali case molto più grate e utili in quanto all’abitare sono.


CAPO XII.

Dei pavimenti.

Essendo i pavimenti principal parte della casa e ornamento, benchè ancora appartengan al seguente libro dei templi, al presente è necessario a perfetta notizia di questo libro, spezialmente di quelli parlare e mostrare alcune differenze d’essi, le quali gli antichi con ragione usarono. Circa la qual cosa, alcuni affermano che gli ornamenti di essi ebbero origine dai Greci per la grande moltitudine che d’essi in più varii modi in Grecia si trova, e fra gli altri di una specie di più ragioni di pietre insieme commesse a similitudine di pittura, ed ordinate. Oltre a questo modo un altro famoso in quelle parti si trova chiamato Asaroton1, sopra del quale i purgamenti o reliquie che dalla mensa in esso si gettava o cadeva, per la varietà de’ colori che in esso erano quelle reliquie e parti superflue non apparivano, ma sempre rimaneva in apparenza in una medesima disposizione: il qual modo più era conveniente nei triclinii che in altre parti della casa, per la ragione detta. Ma dove questi pavimenti abbiano avuto origine o principio, non bisogna nella presente opera determinare: solo è a sufficienza descrivere alcuni modi più utili di essi. Onde è da sapere che oltre ai pavimenti comuni

  1. Asaroton, suona in italiano non scopato. Così (oltre altri antichi che ne fanno menzione) è descritto da Plinio (XXXVI, 60): Celeberrimus fuit in hoc genere Sosus, qui Pergami stravit quem vocant Asaroton Oecon, quoniam purgamenta cænæ in pavimento, quæque everri solent, veluti relicta, fecerat parvis e testulis tinctisque in varios colores. Qual fosse il mosaico asaroto fu poi fatto chiaro per quello scoperto a Roma nel 1833. (Nibby, Degli Orti Serviliani, pag. 23).